
Nel cammino al Politecnico mi trovai,
Un'ostacol infernal s'attraversò,
Tra me e 'l B2: il gradin di Bovisa.
Un piolo sovradimensionato,
Forse plasmato per torcere il passo,
Di quei che van con l'animo affrettato.
Pendolari, col viso affaticato,
Là passan con precipite ardimento,
Sul gradin che lor è avversato.



GRIMM

Nel proceder della fila, urla e strepiti
Da lontano crescevano, sempre più forti,
Mentre la terra sotto i piedi ardeva ardita.
La temperatura saliva, insostenibile,
E anime scosse, in lacrime e sdegno,
Uscivano dal negozio, con brandelli ardenti.
Lamenti echeggiavano, nel tumulto igneo,
Mentre la fiamma divorava la calma,
E l'ira umana bruciava nel suo intento.


L’insegna recitava “GRIMM”: un luogo cupo ed angusto in cui perdere la concezione del tempo.
Dalle loro lingue di fuoco escono imprecazioni ardenti, che precipitano sui corpi inermi degli studenti e ne bruciano le carni.
Un branco aspetta in religioso silenzio la propria punizione: al di là del bancone due fratelli lavorano con macchine infernali.
"Se nelle vostre stampe alcun mal trovate,
Sol vostra è la colpa, e non d'altri!
Il prezzo dell'attesa è per la qualità."
"Se la consegna volete stamattina,
Accomodatevi fuori dal negozio,
Ché la fretta non ha qui nessun valore."
"I pagamenti in contanti han occhio di riguardo,
Mentre quelli con carta, più lento è il passo,
Così è stabilito, e così rimane saldo."


In tal modo tuonavano i due fratelli Albi e Franco, gestori della stamperia infernale.
Il pass per la celerità è unico: pagamento in contanti. Ricordarselo bene per il giorno di consegna.
La fidelizzazione della propria clientela si basa su un principio basilare, quasi matematico: la qualità della stampa finale è direttamente proporzionale all’attesa ed alla quantità di maledizioni provenienti dalla loro bocca.
PROTOSHOP

Con occhi scrutanti, mi pervenne
La vista di due schiere d'anime,
Che parver in feroce lotta accesa.
Una schiera agitava nervosamente
Il proprio oro, mentre gli altri, in pianto,
Mostravan tasche vuote, spoglie d'ogni bene.
Con lamento e dolore, alzavan canto,
I miseri, privi d'ogni ricchezza,
Dinanzi a quei ch'avean fulgore e vanto.

È il “tizio di Protoshop”, che si avvicina al viandante con fare sospetto:
Ad un tratto una voce tuonante zittisce la folla: “Ciao cari, un attimo e sono subito da voi! Verrete serviti in ordine d’arrivo!”.
Avvicinatosi, le mani si strusciava,
Con sguardo furbesco, così disse a me:
"Salve, hai tu bisogno d'alcunché?"
Ecco le anime, ecco i prodighi,
E quelli avaramente avari,
Che in contrasto perenn si ritrovano.
I primi speso han ricchezze a profusione,
Per prototipi perfetti, gran visione,
Gli avari all'ultimo tutto risparmiando.


Quando si incontrano davanti a Protoshop il giorno della consegna, gli avari rimproverano ai prodighi di aver speso troppi soldi per i prototipi e di conseguenza, aver alzato le aspettative dei prof.
Nel marasma generale “il Tizio di Protoshop” godeva avidamente della contesta, riempiendosi le tasche con le richieste degli studenti.
I prodighi, che non badano a spese per i materiali e gli avari, che con strumenti di fortuna cercano di sfangarla all’ultimo minuto.


POLITECNICO

I° BOLGIA


Maestri dell’arrangiamento riescono a posizionare i propri device su qualsiasi tipo di superficie esistente.
Dopo una disperata ricerca di una postazione di lavoro, i “vaganti” infestano il terzo piano: stanchi e scoraggiati patiscono la pena di salire e scendere le scale del B2 tutto il giorno.
II° BOLGIA

Alla ricerca disperata di una fonte di energia elettrica per finire il proprio progetto in tempo, alcuni di loro hanno sprecato le ultime tacche in favore di uno scroll compulsivo.
Gli “scarichi” vagano al secondo piano con la loro compagna fidata: la ciabatta.
III° BOLGIA

Osservandoli per bene, m'accorsi poi,
Che portavan in man contenitori vari,
Con tappi d'ogni colore sotto i rai.
Dentro, pietanze d'ogni sorta, assortite,
Pasta, carne, e cibi a me ignoti,
In processione, quasi fedele, si movean.
Verso il piano più basso della magione,
Con passo lento e quasi rituale,
Andavano, seguendo l'ombra del portale.
Tallonando la processione con curiosità ed un po’ di timore, il nostro protagonista si ritrova all’interno di un corridoio cupo, rischiarato dalle luci di forni, all’interno dei quali gli studenti posizionavano le proprie “schisce”.

Uno di lor mi s'approccia e racconta,
D'aver vegliato sino a notte fonda,
Per preparar il pasto che tanto agogna.
Non aspettava altro in tutto il dì,
Ascoltato il richiamo d'un forno libero,
Correva a "scaldare", preda delle fiamme.
Così, nel rogo ardente, si consumava,
Con desiderio e ansia il cibo atteso,
Mentre il forno l'anima sua divorava.
Questo era il girone degli “schisciati”, gente che vive la sua mattinata in funzione di dover scaldare e consumare il pasto cucinato il mattino o la sera prima.
